Filippo Albini da Moncalieri
"Musicali Concenti"
Ad una, due e quattro voci, opera II e IV
Monica Piccinini, soprano
Anna Simboli, soprano
Luigi Pagliarini, tenore
GLI AFFETTI MUSCIALI
CORALE POLIFONICA DI SOMMARIVA BOSCO
CLAUDIO CHIAVAZZA, Direttore
Trascrizioni di Lorenzo Girodo
Con la pace di Coteau-Cambresis e
il successivo trasferimento al diqua delle Alpi del centro di gravità
delducato sabaudo, Emanuele Filiberto (1528-1580) aveva impresso
alla polItica internauna direzione univoca, foriera d'interessanti
sviluppi e sicura premessa per una rInascita in senso nazionale
delle arti.
L 'Impresa fuproseguita dal figlIo e successore Carlo Emanuele I
(1562-1630): con lui il Piemonte,che per motivi contingenti era
rimasto escluso dalla grande tradizione umanistico-rinascimentale,
giunse finalmente ad emanciparsi dalla penosa condizione di sudditanza
culturale nel confronti delle altre signorie italiane.
Con l'entusiasmo del neofita la corte di Torino si pose allora in
aperto confronto con le principali città della penisola,
favorendo un'intensa circolazione di letterati e di artisti: i fecondi
scambi che avvennero con Mantova e Ferrara, con Roma e il Meridione,
con Bergamo, Brescia,Verona e Lucca consentirono l'importazione
di nuove mode, spesso accettate acriticamente con la massima disinvoltura.
Nonostante l'epoca d'oro della letteratura italiana fosse ormai
trascorsa e le continue ostilItà con la Spagna rendessero
estremamente precaria e difficoltosa la dimora presso i Savoia,
Carlo Emanuele I pose le basi di un personalIssimo impero letterario,
accogliendo sotto il suo patrocinio alcuni tra i più celebrati
poeti del tempo, da
Giovanni Botero a Federico Della Valle, dal Guarini al Marino, dal
Chiabrera al Tassoni al Testi; negli stessi anni il duca si dedicava
ad un'intensa attività di collezionismo, commerciando in
opere d'arte con Roma,Genova e Venezia e chiamando a collaborare
pittori come Guglielmo Caccia,Federico Zuccari o Antiveduto Gramaticaper
la decorazione delle varie residenze.
Altrettanto florida era la situazione della musica di corte: vi
erano rappresentati tutti i generi allora in voga, dal madrigale
all'aria, dall'opera in musica alla favola pastorale all'intermedio,
nella piena adesione ai nuovo stile espressivo inaugurato da Monteverdl
e dalla CamerataFiorentina.
Nella lunga teoria dei musici che si susseguirono a corte sul finire
del Cinquecento e nei primi anni del Seicento emergono i nomi di
Giovanni Pietro Cottone, Pietro Vecoli, Alfonso Ferrabosco, Enrico
Radesca da Foggia, Sisto Visconte e soprattutto Sigismondo d'India,
le cui vicende professionali, come si vedrà, si Intrecciano
di frequente con quelle del nostro Filippo Albini.
Il figlio quartogenito del duca, Maurizio
(1593-1657), avviato alla carriera ecclesiastica per calcolo politico
(rinuncerà alla porpora nel 1642, quando sposerà la
nipote tredicenne Lodovica, figlia della reggente Maria Cristina
di Francia), proseguì l'opera di mecenatismo intrapresa dal
padre, circondandosi di letterati e artisti di ogni genere.
Ritornato a Torino nel 1621 dopo un soggiorno In Roma, si adoperò
affinchè fossero terminati i restauri di una villa d'Oltrepo
detta "La Vigna", da lui acquistata qualche anno prima,
e vi stabilì la sua corte letteraria, fondando l' Accademia
dei Solinghi: «Lì, sul colle di Torino, in quel geniale
ritrovo si leggevano sonetti e madrigali, si disputava di matematiche,
di filosofia, di arti cavalleresche, di politica e dell'arte di
fortificare.
Ivi le pareti erano dipinte a fresco di storie antiche; ivi egli
abitava ricevendo i principi e le principesse sorelle, e di continuo
vi faceva eseguire molti lavori da' valenti artisti, arricchendo
il luogo delizioso di mosaici, di fontane e di statue antiche, poichè
egli era di archeologia amantissimo» (L. Randi).
Seguendo la moda del tempo, i Savoia salirono ripetutamente in collina;
numerose furono le ville sabaude, dimore per merende o casini di
caccia, teatro ideale per feste, balletti, melodrammi, egloghe pastorali
e piscatorie: oltre alle residenze cittadine di Millefiori e Millefonti,
al Castello di Rivoli, a quello di Moncalieri, alla Venaria e alla
tenuta di Vibocone, le cosiddette "vigne" (celeberrima
quella di Madama Reale, già proprietà della famiglia
Abegg), residenze patrizie collinari circondate da campi e da vigneti,
ove i signori trascorrevano il periodo estivo o si rifugiavano durante
le pestilenze nel timore di contagi.
Nella Vigna dei Cardinale, più tardi detta Villa Lodovica
in onore della giovanissima consorte e infine Villa della Regina
allorchè vi si stabilì Anna d'Orleans, sposa (1684)
di Vittorio Amedeo II, si faceva musica da camera e talora si allestivano
drammi musicali.
In un ambiente ricco di stimoli si trovò
dunque a lavorare FIlippo Albini (1587-1631 o 1632), nato a Moncalieri
da una famiglia che annoverava medici, pittori,notai e funzionari
comunali.
Entrato al servizio di Maurizio di Savoia con il compito di provvedere
all'educazione teologica e musicale di alcuni giovani destinati
alla vita ecclesiastica, il suo nome compare per la prima volta
nel Libro Mastro della Tesoreria del Cardinale in data 29 giugno
1619, come incaricato di tale Alessio di Vercelli; dalla stessa
fonte apprendiamo che nell'anno successivo egli tenne "a donzena"
in casa sua per qualche mese un altro "prettino", forse
quel Don Lorenzo Molard, originario della Maurienne, più
tardi con lui a Roma.
Il fatto di essere addetto al Principe Cardinale non impedì
all' Albini di sostituire talora il palermitano Sigismondo d'India,
maestro di camera di Carlo Emanuele I, come egli stesso ci informa
nella lettera "Ai virttuosi di musica» contenuta nel
Primo Libro dei Musicali Concenti, pubblicato a Milano presso l'editore
Filippo Lomazzo nel 1623 e dedicato a Claudio Marini, Marchese di
Borgofranco.
La silloge, il cui contenuto è costituito da diciannove composizioni
(per lo più madrigali monodici, arie strofiche sul tipo della
canzonetta anacreontica e duetti, cui vanno aggiunti due brani che
per il respiro più ampio e il particolare taglio compositivo
possiamo definire cantate), nasce Infatti da una circostanza fortuita:
la necessità di musicare alcune poesie per il compleanno
del duca in assenza del più celebre collega.
Alcuni brani sono dedicati a cantanti attivi presso la corte sabauda:
professionisti di indubbio valore come Luigi Raverio, Don Prospero
Marisio, originario di Roslgnano Monferrato, e Laura Isabella Colleata
di Savigliano, detta anche Isabella di Carde.
Per quanto concerne i testi poetici, dal generale anonimato emergono
due soli nomi, quelli del napoletano Marcello Macedonio e di Glulio
Cesare Riccio da Cuneo, ricordato dal Vallauri come autore di un
epitalamio per le nozze di Carlo Emanuele I e Caterina d' Austria,
figlia di Filippo II di Spagna.
Nel 1623 il Cardinale Maurizio fissò ia sua residenza a Roma
nel Palazzo Orsini a Montegiordano e, sull'esempio dell'analoga
istituzione da lui fondata in Torino, diede vita all' Accademia
del Desiosi, di cui fecero parte tra gli altri Agostino Mascardi,
Vergilio Malvezzi, Alfonso Pandolfi, Girolamo Aleandro, Galeotto
degli Oddi e Agnolo Cardi.
Parimenti egli trasferì nella fastosa dimora romana la sua
accolta di musici, rinforzandone le fila con l' aggiunta di artisti
locali: accanto agli immancabili Sigismondo d'India, Filippo Albini
e Lorenzo Molard prestavano infatti la loro opera presso il prelato
Orazio Michi detto Orazio dell'Arpa, Michelangelo Rossi, Stefano
Landi e Francesco Maria Fucci, oltre ai cantanti Adriana Basile
e Ottaviano Cambiano.
Durante il soggiorno romano l' Albini dà alle stampe il Secondo
Libro dei Musicali Concenti, che reca nel frontespizio l'indicazione
<< da cantarsi nel Cembalo, Tiorba o Arpa doppia»; dedicatario
della raccolta, uscita nel 1626 per i tipi di Giovanni Battista
Robletti, è il conte Filippo San Martino d' Agilè,
uomo politico, scrittore, strumentista, compositore e soprattutto
coreografo, principale organizzatore, insieme allo zio Ludovico,
delle grandiose feste sabaude della prima metà del secolo
Lo stile non si discosta
troppo da quello del Primo Libro: nei madrigali prevalgono i consueti
temi arcadici, passibili di un'interpretazione in chiave allegorica
ed encomiastica nei confronti dei membri della casa regnante; più
convincenti appaiono i componimenti in forma strofica, contrassegnati
da una maggiore immediatezza e spontaneità, lievi, fresche
canzonette in ritmo binario o ternario, di argomento erotico-scherzoso
e con andamento prevalentemente omoritmico: una produzione di minori
pretese, destinata a un più largo consumo e che predilige
soluzioni facili e immediate, lontane dalla ricercatezza del madrigale
aulico. Questi ed altri pregi fanno dell' Albini un autore piacevolmente
fruibile che, pur non avendo vissuto la sua epoca da protagonista,
riflette tuttavia nelle scelte le oscillazioni del gusto musicale
imperante negli ambienti di corte del primo Seicento.
Cristina Santarelli